Wild eyed boy from a freecloud (Memories from the Balkans 2006)

Friday, July 28, 2006

articolo corriere reloaded

ecco la seconda versione dell'articolo per il corriere del mezzoggiorno.
forse stavolta e' la volta buona che lo pubblicano. vi faro sapere.

ps. nei commenti provate a farmi sapere se vi piaceva di piu' la prima versione o questa.

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Napoli-Pristina
Una cronaca balcanico-partenopea di mezza estate

Urime Italia, Urime Italia! Letteralmente “Congratulazioni Italia”. Gridano i bambini per la strada quando passo con la mia maglietta della Nazionale per le strade di Pristina. Dopo due settimane dalla vittoria qui è ancora vivo il ricordo della festa che la comunità italiana ha improvvisato per le strade della città, di fronte al Quartiere Generale della Missione delle Nazioni Unite in Kosovo (UNMIK). Infatti, mentre la Rai riprendeva i militari italiani della KFOR alle porte della città, fuori dai riflettori, i civili che lavorano presso le Organizzazioni Internazionali, erano incollati al maxischermo in uno dei vari ristoranti italiani del centro, grazie anche al coordinamento dell’Ufficio Diplomatico Italiano.
In queste calde sere balcaniche di mezza estate ci ritroviamo spesso al ristorante “Il Passatore” dove la magnifica cuoca Antonella è ancora in festa perchè “era dal 1982” che aspettava di nuovo la vittoria della nazionale.
Ci siamo proprio tutti, anche i napoletani. Qui in Kosovo i campani sono quasi un centinaio, se si contano anche i militari e le forze di polizia internazionali. Ma in centro città la comunità partenopea è abbastanza ristretta e si limita alle persone che lavorano nelle ONG e le Organizzazioni Internazionali, con una permanenza variabile tra i sei mesi e i tre anni. Tra una discussione su Zidane e Materazzi e la Juve in Serie B, c’è l’occasione per fare il punto su questa città che, a sei anni dalla fine del conflitto, si trova ancora al centro dell’amministrazione internazionale, nei mesi caldi delle negoziazioni sullo status finale del Kosovo. Ovviamente è anche un buon momento per ricordare Napoli come in un gioco di specchi.
Alessandro Marra, il trentenne vice-capo della Rappresentanza del Consiglio d’Europa in Kosovo, è qui da sei mesi, e ricorda i primi giorni della sua avventura kosovara quando, nella strenua ricerca di una casa (a Pristina in inverno la temperatura raggiunge anche i meno 20), alloggiava nel “Grand Hotel”, il fatiscente albergo che in epoca Yugoslava era il fiore all’occhiello della città. Ormai non vive più a Napoli da quattro anni e mezzo e ci dice che per lui non è stata una fuga ma una scelta professionale. Giurista, fin da studente specializzato in diritto internazionale (ha studiato con il prof. Conforti). Per lui lavorare alla Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo è stata una scelta di passione. Aggiunge - essere napoletani sicuramente aiuta in un contesto come quello del Kosovo perché permette di comprendere molte questioni personali, politiche e sociali, essendo Napoli la possibile chiave di lettura di tutti i Sud, in particolare del Mediterraneo. E il Kosovo, pur non essendo bagnato dal mare, puo’ essere considerato come uno di questi Sud, luogo di passaggio e di frontiera su cui corre una di quelle profonde fratture che attraversano l’Europa e il Mondo intero -. A questa affermazione si alzano commenti ironici dei baresi e dei bergamaschi presenti. Replica Massimo di Terlizzi, di Nocera Inferiore, a Pristina per l’ONU dal 19 Agosto 2003, un vero veterano – E’ vero, essere napoletani a Pristina aiuta a prendere con filosofia tutte le cose che qui non funzionano, in particolare il traffico e la viabilità. Ma soprattutto ad affrontare delle situazioni di forte stress urbano, cosa non nuova per chi è abituato ai ritmi metropolitani partenopei -. Lui questa città l’ha vista cambiare in tre anni. E ci racconta che all’inizio alloggiava, per motivi di sicurezza, nei container posti vicino la base logistica delle Nazioni Unite, fuori città. Lì circolavano leggende metropolitane incredibili, come quella sulla polizia indiana che avrebbe portato serpenti da usare per mantenere l’ordine pubblico. Prima di venire qui era in forza al Nucleo Regionale di Polizia Tributaria dal 1997 al 2002. Ci spiega di essersi occupato di verifiche fiscali a grossi gruppi imprenditoriali della Campania, e maggiormente divertito nel settore del contrabbando. Racconta le motivazioni della sua scelta, complicate avendo una famiglia e due figli. Ma - continua - il "vizio del nomade" è l'unico di cui sono schiavo e poi per un ispettore della GdF lavorare in ambito internazionale e confrontarsi tutti i giorni con realtà operative e mentalità diametralmente diverse è sicuramente una sfida affascinante. Ma il pensiero ritorna su Napoli e aggiunge con un po’ di nostalgia - tutte le sere, attraverso la mitica web-cam, ci scambiamo le vedute dalle finestre delle nostre rispettive case, mia moglie ed io! –
Anche Chiara sta fuori Italia da tempo. 28 anni e già un’esperienza in India dove lavorava ai progetti dell’ONU per la prevenzione e la gestione dei disastri naturali. È qui in Kosovo dal 2004, spinta soprattutto dalla voglia di tornare sul terreno e interessata dalla possibilità di partecipare a una missione di pace delle Nazioni Unite. Infatti lavora come Coordination Analyst presso l’ufficio dell’UNDP. Prima della missione il Kosovo rappresentava per lei un “buco nero”. Ci racconta – il solo ricordo che avevo era quello della guerra, di un posto distrutto e da ricostruire. E con grande sorpresa mi sono accorta, venendo qui, che si vive quasi in maniera normale. – Ma le manca il mare. Per arrivare in Montenegro, in Albania o in Grecia ci vogliono almeno sette ore di auto. E aggiunge, scherzando – da questo punto di vista il pensiero che il Kosovo non abbia il mare mi rende un poco claustrofobica –.
Infine al tavolo c’è anche Francesca Marzatico, 31 anni, di San Giorgio a Cremano, impiegata presso l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni. Anche per lei lasciare Napoli è stata soprattutto una scelta professionale. Ma punta il dito sulla chiusura del sistema partenopeo che spesso non da possibilità ai giovani più qualificati di poter esprimere il proprio potenziale al servizio della città. E dalle contraddizioni di Napoli lo sguardo si posa sulla vita quotidiana a Pristina. - In sei anni questo piccolo capoluogo di provincia di circa 500.000 abitanti è diventata una vera e propria città internazionale. Bar e ristoranti, case da affittare, impiegati nel personale delle Organizzazioni. Soprattutto i ristoranti sono un buon indicatore della varietà della provenienza degli operatori internazionali. Qui si può assaggiare dalla cucina italiana e francese al fast food americano, dal sushi al riso indiano o tailandese, fino all’esotismo di un ristorante messicano in salsa balcanica. A questo fa da contraltare l’estrema povertà che, in un triste gioco dei contrasti, è visibile ad ogni angolo –.

Gulag Orkestar


la colonna sonora di questa missione a Pristina e' Gulag Okestar. Il disco di "Beirut" un ragazzo di 19 anni amerciano che si chiama in realta' Zach Condon e dopo aver fatto un viaggio nei Balcani ha fatto questo disco pazzesco. Mettete insieme Bregovic, Fanfare Ciocarlia con Neutral Milk Hotel, Radiohead e otterrete questo mix che ascoltato da Pristina, oppure "on the road" tra la Macedonia e la Grecia e' davvero qualcosa di fenomenale.
In questi giorni in cui purtroppo Beirut viene bombardata questo assume connotati spazio-temporali ancora piu incredibili. Quando riascoltero' questo disco in qualsiasi altra parte del mondo mi verra' in mente questo scorcio di mezza estate, le scale di dragodan che portano a casa e la vista sulla citta'.
Tra due ore si parte per la Grecia...

Mission 4

(Quanti film hanno avuto il IV episodio? Io mi ricordo solo Stars Wars, Rocky IV e la Piovra IV… a voi il quesito dell’estate per occupare le vostre giornate sotto l’ombrellone)




Il Bolero di Ravel piano piano avanza. Fuori è notte fonda e io sono nel letto che cerco di scrivere. La tastiera sembrerebbe un pianoforte se non fosse stata già usata come metafora, e quindi sembra qualcos’altro. Non so cosa ma sicuramente un mezzo per trasformare degli impulsi elettrici provenienti dal mio cervello in parole. E questo è già abbastanza incredibile se ci pensate. Un tasto dopo l’altro per raccontarvi, ancora una volta cosa mi succede qui in Kosovo.
Missione numero 4.
Poi dovrete aspettare fino a fine settembre/inizio Ottobre per gustarvi le mie avventure kosovare visto che oggi ho saputo che ci sarà un bel po’ di tempo tra questa e la prossima missione.

Cosa farò nel frattempo… e chi lo sa… ma forse lo leggerete su qualche blog parallelo delle vancanze o di altri viaggi se ci saranno. O semplicemente ve lo racconterò a voce se ci incontriamo.

Stasera feste.
Inaugurazione del museo etnografico con free drinks a musika kosovara annessa, e poi James Joyce avrebbe fatto l’ulisse delle feste, almeno così mi aspettavo. Ma in realtà solo un’altra festa peraltro in pieno declino quando l’abbiamo visitata. Al di là della serata che non saprei se definire sfigata o meno. Qui le cose vanno abbastanza bene. Questa sembra casa mia e dovrei fare uno sforzo per non attaccarmi troppo. Questo sembra il nodo della questione. Non attaccarmi troppo alle persone e alle cose che si fanno, alla casa in cui si vive. Tutto sembra troppo passeggero. Ma come si fa? Non è giusto forse farlo. E per questo ho deciso di non farlo anche se tutto è messo in discussione. E mi ritrovo qui a scrivere all’inizio di questa missione come se stessi scrivendo all’inizio dell’intera avventura kosovara. Ricordate il mio primo post, quando scrivevo delle luci di Pristina e della sensazione di insicurezza bella e non bella allo stesso momento? Beh è più o meno la stessa cosa anche se stavolta non è la prima volta.
Boh non si capisce più niente e ci sono due vie, o si cerca di capire razionalizzare, pianificare, spiegare perché si è qui che cosa si fa mostrare che si ha del tutto il controllo della situazione. L’altra via è quella di lasciarsi andare, ammettere che in realtà il tutto ha delle connotazioni alquanto surreali e che nonostante ci sia un senso nel progetto, nel lavoro, in realtà non si può spiegare tutto in maniera razionale. Come sono capitato qui è in realtà ancora un bel mistero che non si riuscirà a decifrare nel breve lasso di tempo di un bolero di Ravel, che è bellissimo ascoltato ad alto volume a notte fonda in una Pristina quasi bellissima con l’odore dei fiori e dell’estate. Ecco il finale del Bolero. Sorprendetemente magnifico. Ma come si fa a creare una cosa così, semplicemente bellissima senza altri paragoni (ovviamente il Bolero, non Pristina).


Ecco dove eravamo. Io qui e la mia missione di mezza estate, o il mio sogno di mezza estate, la voglia di vacanza, e cosa?
Ecco tutto, ben tornato in Kosovo.
Potrei essere Bill Murray in Lost in Trabslation… oppure Bill Murray in Broken Flowers, purtroppo in questa situazione non certo Bill Murray in Life Aquatic, anche se (even though, direbbero gli inglesi) Mi piacerebbe essere Steve Zissou, più che altro per la voglia di mare e di acqua. Sarà che l’anno scorso in questo momento ero su una barca a vela nei mari del nord tra la Finlandia e la Svezia e quest'anno mi ritrovo in mezzo ai Balcani. Non fa caldo ma mi manca il mare.


Questo post di mezzanotte (ma è ovviamente più tardi) è forse il più sconclusionato dall’inizio di questo Blog. Ora siamo passati dal Bolero al Jazz Etiope, cosa adatta allo spirito della serata, dove il Kosovo da spazio fisico diventa un luogo dell’immaginazione. Una specie di spazio mentale dove regna l’anarchia. Forse questa è la chiave di lettura di questo posto e del mio stato d'animo.
Anarchy in Kosovo cantavano i Ramones!

Buona notte, Good Night (and good luck), bonne nuit, nat ne mire, Lacu noch, buenas noches, gott nacht… (o inqualsiasi modo lo vogliate scrivere e pronunciare).

Thursday, July 20, 2006

Verso la fine di questa missione (Pristina mon amour reloaded)

Anche questa missione è finita. In realtà no.

Tra meno di una settimana si ritorna.

Sono stanco ma contento.


Il treno è in ritardo e finisco questo post tra l’aeroporto di Ginevra e la stazione di Napoli Centrale. Il Kosovo mi perseguita. Incontro un militare italiano di Mugnano del Cardinale che condivide lo scompartimento dell’Intercity con me che è entrato a Pec/Peya nel 1999 subito dopo la fine dei bombardamenti della NATO. È l’occasione per ricordare come era la missione italiana all’inizio. Niente Villaggio Italia a Peya, né Film City a Pristina. Alloggiavano nella fabbrica della Zastava. Storie di check point, Albanesi e Serbi. Ascolto “Beirut” che ha fatto un album abbastanza “Balcanico” nelle sonorità. Mischiate i Radiohead con Bregovic e otterete l’atmosfera si “Gulag Orkestra”. Perfetto per concludere il post di questa missione. Siamo quasi ad Aversa… è quasi casa!


Cronaca kafkiana (evitare di fittare una macchina in Kosovo)

Al confine tra il Montenegro e il Kosovo c’è un tratto di terra di nessuno che si stende per chilometri e chilometri. La strada è deserta e non c’è niente a parte la montagna e gli alberi. Arriviamo li verso le dieci e cominciamo la discesa verso le luci di Pec/Peya. Ma il ritorno non è così liscio come l’andata. Una serie di ostacoli ci renderanno la vita difficile nei prossimi due giorni. Entrando nei meandri della burocrazia e del sistema di sicurezza di questo non-stato che è il Kosovo.

a) il giorno è duro a morire (come sopravvivere alla fila alla frontiera di domenica sera)

Lla fila è lunga la macchina la spengo. Bivacchi di famiglie tedesche che non si capisce che cosa vengono a fare in kosovo. Autobus di Albanesi che tornano dal Montenegro un po’ più abbronzati di prima. Macchine dell’Unione Europea che in barba alla fila passano lisce come l’olio e i soliti furbi che superano senza guardare a destra e a sinistra. Coda chilometrica. Ragazzi albanesi con le bibite passano per rinfrescare i poveri malcapitati. Anche noi ci adeguiamo e bivacchiamo. BBC Radio ci parla dell’evacuazione dei civili britannici da Beirut sotto le bombe. Il pensiero corre agli amici lontani laggiù e anche a questa terra, alle bombe, alla guerra. Penso ai confini attraversati a piedi dalle famiglie in fuga dal Kosovo in fiamme nel 1999. e noi invece tranquilli come se fosse l’ingorgo di una qualsiasi autostrada al ritorno dal mare. Surreale. Alla fine mi stendo e faccio un pisolino avanzando di tanto in tanto di pochi metri senza nemmeno accendere il motore (stiamo in discesa).

b) Una lacrima sul Visto

Benvenuti in Kosovo. Ah lei lavora per la Banca Botorore (Banca Mondiale). Non ha l’ID Card… oh oh… Problemi in vista. Si prendono il passaporto e mi vogliono far pagare un visto d’ingresso. Cosa che non mi era ancora capitata quando sono entrato in Kosovo. Ci si ferma. Sbaglio ufficio. Era quello dell’assicurazione della macchina che voleva spillarmi altri soldi, ma fortunatamente me ne sono accorto in tempo da fargli capire che la mia auto era immatricolata in kosovo. Trovo il tipo dei “visti”. Faccio un po’ di casino. Mi fa il timbro e il foglietto senza problemi. Dopo tre ore circa eccoci di nuovo sulla strada.

c) Le Guardie

Andavo a Ottanta all’ora per tornare a casa. Velocità ammessa sulle strade extraurbane in kosovo. Troppo tardi. Ah ero in zona quasi urbana. Mi fermano. Si prendono il libretto della macchina e mi fanno 35 euro di multa. Incredibile e Pazzesco. Per evitare la corruzione dei poliziotti locali non si può pagare la multa a loro ne tantomeno alla centrale della polizia ma solo a qualsiasi banca. Ma la fregatura è che ti ritirano il libretto e devi recuperarlo laddove te lo hanno preso. Cioè nel mio caso a Peya/Pec. Una bella rogna. Sono le due di notte. Non ce la si fa più. La polizia ci ferma ancora un’altra volta prima di Pristina. Benvenuti in Kosovo.

d) I guai nascono all’alba

Incredibile. La macchina affittata è rotta. Non solo devo andare a prendere il libretto ma devo risolvere la questione del danno (di cui non sono responsabile) con l’energumeno del rental car. E qui le cose si fanno sempre più surreali. Dovreste vedere la scena. Io che arrivo dal rental car con Pietro, il Poliziotto dell’UN Ligure vestito in uniforme. Io non parlo. Lascio fare tutto a lui. Dopo un’oretta di discussione cercando di risolvere la cosa in maniera amichevole si chiama la Polizia. Sempre più Kafkianamente l’agente arriva esamina il paraurti ammaccato (si perché si sta parlando di un paraurti ammaccato) e dice che non può decidere. Chiama il suo sergente. Che arriva dopo un’altra ora. Dopo un’altra ora andiamo a fare il rapporto alla centrale. Altra ora di attesa. Poi arrivano i monitorin dell’ONU (perché qui la polizia non è ancora completamente indipendente). In tutto questo Pietro monta uno semi-show col padrone del rental car. Lui è tranquillo perché tanto il tutto si risolve in una bolla di sapone. Gli agenti dell’UN dicono che la cosa non è loro competenza e che se il tipo è veramente incazzato per il paraurti può fare causa privata.

e) Epilogo (qualche consiglio ai voyageurs)

Non fitttate una macchina con una targa kosovara per andare in Montenegro.

Non andate a più di 50 all’ora sulle strade del Kosovo in vicinanza di un centro urbano.

Il Kosovo è quasi uno stato di Polizia. La percentuale è sproporzionata rispetto al numero di abitanti e alla taglia del territorio.

Se lavorate in Kosovo recuperate una ID dell’UNMIK che vi rende la vita molto più facile.

Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio!


The Strategic Goal that Defines the Kosovo Police Service Transition is the establishment, development, and deployment of a professionally trained, fully equipped, adequately staffed, sustainable, and effectively functioning local police force capable of maintaining the security and public order in Kosovo, while adhering to the tenants of democratic policing.
"Dal sito della KPS"





Weekend in Montenegro (a break in the blue)

Sotto il cielo di Perasto/Perast


On the Boat

Le Bocche di Cattaro

La città si trova in fondo alle bocche di Cattaro, in riva al mare e addossata ad un monte roccioso. Principale attrattiva della città è l'imponente cinta muraria recentemente restaurata, che ha uno sviluppo di 4,5 km per 15 metri di altezza e fino a 20 metri di larghezza. Le mura di Cattaro si innalzano fino al bastione di San Giovanni, situato a 280 metri sopra la città.

La città venne fondata durante il periodo romano, quando era conosciuta come Acruvium e faceva parte della provincia romana della Dalmazia, e venne menzionata per la prima volta come Ascrivium o Ascruvium nel 168 a.C..

Cattaro fu poi dotata di fortificazioni fin dal 535, quando l'imperatore GiustinianoGoti. Con tutta probabilità una seconda città venne edificata negli immediati dintorni, in quanto Costantino Porfirogenito, nel X secolo, allude ad una "Cattaro Bassa". La città fu saccheggiata dai Saraceni nell'840. fece costruire una fortezza sulla collina sovrastante la città.

Nel 1002 la città fu gravemente danneggiata durante l'occupazione dei Bulgari e l'anno seguente fu ceduta alla Serbia dallo zar bulgaro Samuil, ma i cittadini insorsero spalleggiati da Ragusa. Cattaro si sottomise solamente nel 1184 al protettorato serbo, preservando intatte le sue istituzioni repubblicane ed il suo diritto di concludere trattati e dichiarare guerra.

Cattaro divenne sede vescovile già nel XIII secolo, mentre nel XIII secolodomenicani e francescani allo scopo di contenere la diffusione del Bogomilismo. vennero fondati monasteri.

L'italianità della zona è dimostrata anche dal fatto che la diocesi locale formava un unico territorio con quella pugliese.

Nel XIV secolo Cattaro rivaleggiò con Ragusa come potenza commerciale e provocò la gelosia della Serenissima, che approfittando della caduta della Serbia nel 1389 la contese all'Ungheria mediante alterni assedi, per impossessarsene infine nel 1420.

In epoca veneziana su Cattaro si abbatterono numerose disgrazie: la città venne assediata dall'Impero Ottomano nel 1538 e 1657, flagellata dalla peste nel 15721563 e 1667. Col trattato di Campoformio del 1797 passò all'Austria, ma nel 1805 fu assegnata all'Italia grazie alla pace di Presburgo ed infine annessa nel 1810 all'Impero Francese.

La città fu infine restituita all'Austria in seguito al Congresso di Vienna (1815). Il tentativo di istituire la coscrizione obbligatoria, effettuato e fallito nel 1869 ed infine riuscito nel 1881, causò due brevi rivolte popolari.

Durante la prima guerra mondiale Cattaro fu teatro di alcune delle più aspre battaglie combattute tra il Montenegro e l'Austria-Ungheria. Dopo il 1918, assieme all'intero Montenegro, la città venne inglobata nella neonata Jugoslavia1945 entrò a far parte della Repubblica Socialista del Montenegro. e dopo il

Il 15 aprile 1979 un altro terremoto danneggiò la città, che venne prontamente restaurata. Dalla disgregazione della Jugoslavia ha seguito le sorti del Montenegro, e dal maggio 2006 è pienamente parte della nuova repubblica indipendente

Nel corso del XX secolo la popolazione croata, che costituiva una volta la maggioranza, è calata drasticamente ed oggi i montenegrini sono maggioritari in tutta la regione.

A Cattaro esiste pure una piccola comunità italiana, denominata ufficialmente Comunità Nazionale Italiana del Montenegro, che in base all'ultimo censimento dovrebbe contare circa 500 persone nel territorio bocchese parte dell'ora indipendente Montenegro. Dal punto di vista linguistico il veneto da mar sta tuttavia regredendo a favore dell'italiano standard. Dall'autunno del 2004 è presente a Cattaro la Società Dante Alighieri.


Thursday, July 13, 2006

Articolo per il Corriere

Ecco la bozza dell'articolo per il Corriere del Mezzogiorno che non è stato piu pubblicato. Devo lavorarci ancora su e modificarlo e poi forse potrete leggerlo anche sul giornale.

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Napoli-Pristina / Italia-Francia
Una cronaca balcanica della finale dei Mondiali


Urime Italia, Urime Italia! Letteralmente “Congratulazioni Italia”. Gridano i bambini per la strada quando passo con la mia maglietta della Nazionale per le strade di Pristina. Torno dalla festa che, dopo la partita, la comunità italiana ha improvvisato per le strade della città, di fronte al Quartiere Generale della Missione delle Nazioni Unite in Kosovo (UNMIK). Infatti, mentre la Rai riprendeva i militari italiani della KFOR alle porte della città, fuori dai riflettori, i civili che lavorano presso le Organizzazioni Internazionali, erano incollati al maxischermo in uno dei vari ristoranti italiani del centro, grazie anche al coordinamento dell’Ufficio Diplomatico Italiano.
Il giorno dopo si replica al ristorante “Il Passatore” dove la magnifica cuoca Antonella ha offerto a tutti la pizza e la pasta, perché “era dal 1982” che aspettava di nuovo questo momento. Ci siamo proprio tutti, anche i napoletani. Qui in Kosovo sono tanti i campani, se si contano anche i militari e le forze di polizia internazionali. Ma in centro città la comunità partenopea è abbastanza ristretta e si limita alle persone che lavorano nelle ONG e le Organizzazioni Internazionali. Alla cena di lunedì ci siamo quasi tutti. Tra una discussione sull’espulsione di Zidane e sulla tenuta di Totti in campo, c’è l’occasione per fare il punto su questa città che, a sei anni dalla fine del conflitto, si trova ancora al centro dell’amministrazione internazionale, nei mesi caldi delle negoziazioni sullo status finale del Kosovo. Ovviamente è anche un buon momento per ricordare Napoli come in un gioco di specchi.
Alessandro Marra, il trentenne vice-capo della Rappresentanza del Consiglio d’Europa in Kosovo, dedica la vittoria dell’Italia al popolo kosovaro che ha festeggiato in maniera solidale e calorosa, e aggiunge - essere napoletani sicuramente aiuta in un contesto come quello del Kosovo perché permette di comprendere molte questioni personali, politiche e sociali, essendo Napoli la possibile chiave di lettura di tutti i Sud -. A questa affermazione si alzano commenti ironici dei baresi e dei bergamaschi presenti. Replica Massimo, di Nocera Inferiore, a Pristina per l’ONU dal 19 Agosto 2003, un vero veterano – E’ vero, essere napoletani a Pristina aiuta a prendere con filosofia tutte le cose che qui non funzionano, in particolare il traffico e la viabilità urbana -. Lui questa città l’ha vista cambiare in tre anni. E ci racconta che all’inizio alloggiava, per motivi di sicurezza, nei container posti vicino la base logistica delle Nazioni Unite, fuori città. Lì circolavano leggende metropolitane incredibili, come quella sulla polizia indiana che avrebbe portato serpenti da usare per mantenere l’ordine pubblico.
La tavolata riprende un altro possibile parallelismo stavolta con la Napoli del dopoguerra e degli Americani “liberatori”. Qui a Pristina il primo cartello pubblicitario che si vede venendo dall’aeroporto è quello dell’hotel “Aviano”. Dopo pochi chilometri alle porte della città si passa per l’hotel “Victory” (con tanto di riproduzione sul tetto della statua della libertà) per poi accedere al centro urbano attraverso il “Bill Clinton Boulevard”, in cui l’ex-presidente saluta i passanti con un bel sorriso stampato su uno dei palazzi più alti.
Ma la cosa più interessante ci viene fatta notare da Francesca Marzatico di San Giorgio a Cremano, impiegata presso l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni. Pristina si trova di fronte un’economia urbana totalmente distorta dalla massiccia presenza internazionale. In sei anni questo piccolo capoluogo di provincia di circa 500.000 abitanti è diventata una vera e propria città internazionale. Bar e ristoranti, case da affittare, impiegati nel personale delle Organizzazioni. A questo proposito Chiara, Coordination Analyst presso l’ufficio dell’UNDP, sottolinea come il mercato degli affitti sia effettivamente ai livelli “napoletani”. Per un appartamento di piccole dimensioni la media per gli operatori internazionali si aggira, infatti, intorno ai 400-500 euro.
Questi effetti immediati sulla geografia urbana sono stati registrati recentemente anche in un rapporto dell’Unione Europea che ha cercato di misurare l’impatto economico della presenza internazionale nel momento in cui la missione delle Nazioni Unite si sta ridimensionando in vista di una soluzione dello status finale del Kosovo. In sei anni l’UNMIK ha speso un totale di 2,6 miliardi in personale, beni e servizi. La missione conta circa 6.500 dipendenti, di cui la metà internazionali. Sebbene questo abbia avuto un impatto sul Prodotto Interno Lordo pari quasi al 9%, il generalizzato aumento dei prezzi ha praticamente eguagliato gli effetti positivi di questa iniezione di liquidità nell’economia locale. Il futuro di questa internazionalizzazione calata dall’alto e della transizione verso un’economia locale sostenibile appaiono al momento tra le sfide più importanti per la gestione pacifica di questa difficile realtà urbana, ancora provata dal conflitto serbo-albanese.

Giuseppe Porcaro

Tuesday, July 11, 2006

WE ARE THE CHAMPIONS!



Come nel 1982!

Allora avevo tre anni e non ricordo niente di quell’estate spagnola con l’Italia di Paolo Rossi. Stasera, Pristina, Kosovo, ristorante Panevino. Folla intensa, francesi e italiani tavoli vicini. La telecronaca in tedesco, il pubblico misto. Persino un Giapponese che tifava italia e inglesi che tifavano Francia. Incredibile. L’atmosfera da stadio. Rigore falso alla francia. Pareggio dell’Italia. Un secondo tempo noiosissimo con gli Italiani che avevano paura di correre e tirare. Poi Zidane lascia la carriera con una capocciata veramente indecorosa. Il resto è storia. Compresa la doccia d’acqua che un giornalista locale ci ha provocato per farci le fotografie il coglione è salito su un rubinetto dell’acqua e ci ha inondato al gol del pareggio. E poi la telefonata di mia madre che ha provocato l’errore fatale dei francesi. E la festa. I kosovari con le macchine per strada. Noi con le bandiere davanti alla sede dell’UNMIK. Antonella, la cuoca del ristorante “Il Passatore” che ha offerto birre a tutti e ci ha invitati a mangiare da lei domani sera. Tutti i kosovari poi che mi gridavano “Viva Italia” quando passavo perché avevo la maglietta dell’Italia addosso.

Contemporaneamente l’Italia starà esplodendo. Pristina non e' da meno.

Vigilia della finale dei mondiali di calcio Germania 2006

Una forma di attesa nell’aria.

Ieri siamo stati a Skopje. Una vera avventura cominciata con un odissea surreale.

Abbiamo fatto la strada tra pristina e la frontiera macedone tre volte perché prima James si è dimenticato il passaporto e poi Laura si è accorta di aver fatto lo stesso.
Incredibile.
5 ore di viaggio che sembrava stessimo andando dall’altra parte dei Balcani, invece erano solo 40 chilometri moltiplicati per sei. Una sorta di dilatazione spazio-temporale.

Poi massaggio e sauna.

Insomma sabato pomeriggio all’insegna del rilassamento e del dolce far niente. Poi ci siamo incontrati con Luca, Georg e gli amici dell’Obessu. Una bella cosa.

Ora questa forma d’attesa nell’aria.

Missione 03, luglio 2006


Nel mezzo di questo lungo peregrinare mi ritrovo a Pristina per la terza missione.

Luglio, presumibilmente estate anche se qui le nuvole mi accolgono all’aeroporto. Si vede che è estate però e che è venerdì, perché c’è una folla come non l’avevo mai vista fuori all’aeroporto. Famiglie intere venute ad accogliere i passeggeri. Due aerei, il mio dell’Austrian proveniente da Vienna e quello dell’Adria proveniente dalla slovenia. Moltiplicate la capienza dell’aereo (circa 200 persone) per un numero indefinito di familiari e otterrete una folla da festa del paese. Più i tassisti che aspettano i clienti. Stavolta ho preso un freelance, nel senso che non ho domandato di farmi venire a prendere e prenotare. Sulla strada per Pristina il primo cartello pubblicitario è quello di un Hotel di Kosovo Polije/ Fushe Kosova che indovinate un po’ come si chiama in onore al vicino aeroporto? “Hotel Aviano”, con tanto di caccia bombardiere nel logo!

Stavolta sono davvero tante le cose che ho da fare qui. Ho finalmente una casa anziché stare in albergo, questo, accoppiato ad Al Green che sta facendo da sottofondo a questo post pomeridiano, mi fa sentire un po’ più rilassato. Oddio è la quarta volta negli ultimi dieci giorni che cambio il letto dove dormo la sera, e questa cosa si fa sentire, però sono stati 10 giorni intensi tra Strasburgo, dove c’è stato il lancio della Campagna “All Different, All Equal” e poi Ginevra, e poi di nuovo Strasburgo… e ora Pristina, poi Ginevra di nuovo per tornare pochi giorni a Napoli e ritornare qui alla fine del mese.

Eh si la stanchezza si fa sentire. Ma ora si scende (eh si perché sto in collina) e si và a fare aperitivo all’OSCE. Giusto due parole sulla casa. La condivido con Chiara, cugina di un mio collega di università di Castellammare, che lavora all’UNDP. Tre stanze, cucina e bagno. Non è male. L’unico tocco personale è questa maglietta dell’Italia appesa in occasione della finale di domenica. Ora faccio una rapidissima doccia e vado.